Pubblicato il 17 Aprile 2024

Centro Studi CNI: Cospicue le risorse investite fino ad oggi ma serve un approccio conservativo e riparativo per affrontare il problema

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Fenomeni naturali distruttivi: un costante impatto sul territorio

Gli eventi franosi, alluvionali e di erosione costiera segnano pesantemente ogni anno il nostro Paese. In media si registrano più di 100 eventi franosi con danni a persone e cose ogni anno, con punte di oltre 300 eventi distruttivi nel 2016. Nel 2020, l’Ispra, ha rilevato che gli eventi franosi significativi sono stati 122, nel 2021 sono stati 158 e nel 2022 si sono attestati a 97. Alluvioni e inondazioni si presentano con una media di due eventi distruttivi l’anno. Nel 2023 si sono registrati 5 eventi alluvionali significativi tra cui due episodi gravi a distanza di pochi giorni in vaste aree dell’Emilia Romagna, nel mese di maggio, con un bilancio di 17 morti. Nel 2022 gli episodi sono stati due tra cui quello particolarmente grave di novembre, verificatosi a seguito di smottamento, dilavamento e allagamento, nell’isola di Ischia con 12 morti. Altri due episodi significativi si sono registrati nel 2021, 4 nel 2020, 4 nel 2019, 2 nel 2028 di cui uno particolarmente distruttivo nel mese di ottobre a causa della Tempesta Vaia, con inondazioni e smottamenti in provincia di Trento, di Belluno e di Udine. D’altra parte questo è il portato di un livello di rischio che coinvolge, secondo l’Ispra, ampie parti del territorio e della popolazione. Secondo gli ultimi dati disponibili, il 13,5% del territorio nazionale è esposto ad un rischio frana elevato o medio, il 15% del territorio è esposto a rischio alluvionale elevato o medio, il 4,1% della popolazione risiede in aree ad elevata pericolosità alluvionale, cui si aggiunge l’11% residente in aree a pericolosità media.

Investimenti e risorse: il quadro finanziario della difesa del suolo

Proprio per il quadro appena delineato e le tecniche di analisi sempre più sofisticate oggi disponibili, il rischio legato a fenomeni di dissesto idrogeologico è uno dei più monitorati e studiati nel nostro Paese. Siamo però lontani dal disporre di un modello sia di prevenzione che riparativo realmente efficace, nonostante le risorse finanziarie pubbliche stanziate negli ultimi anni. Da questo ultimo punto di vista il dato è interessante e può essere ulteriore motivo di riflessione: dalla Piattaforma Rendis - Repertorio Nazionale degli Interventi per la Difesa del Suolo di Ispra emerge uno stanziamento pubblico per opere di contrasto al dissesto, dal 1999 al 2023, pari a 17,2 miliardi di euro, per oltre 25.000 interventi puntuali progettati e in parte realizzati. Il tasso di utilizzo delle risorse disponibili e di completamento delle opere ovviamente è più alto, intorno all’80%, per il periodo 1999-2009, mentre si attesta su livelli più contenuti per gli anni più recenti poiché si tratta di interventi distribuiti su più anni (e che necessitano quindi di lunghi periodi per giungere al completamento; mediamente 4 anni). Infine le dotazioni degli ultimi anni appaiono abbastanza consistenti, se si pensa che per il 2021 sono stati stanziati 4,2 miliardi di euro, per il 2022 vi sono 1,5 miliardi e per il 2023 1,7 miliardi. Tra le regioni con i più elevati livelli di stanziamento per interventi di difesa del suolo figurano la Campania, la Sicilia, la Lombardia, il Veneto, il Lazio e il Piemonte, tutte con finanziamenti superiori al miliardo di euro (periodo 1999-2023).

La sfida dell'emergenza continua: fabbisogni e stanziamenti

Eppure siamo solo a metà, o forse meno della metà, del “guado”, poiché da una analisi condotta dalla Corte dei Conti sui dati della Piattaforma Rendis emerge un fabbisogno di investimenti di almeno 26 miliardi di euro per fare fronte in modo più stabile ed efficace agli interventi di difesa del suolo ed immaginare di uscire da quella che in realtà per il nostro Paese resta una sorta di emergenza permanente. E’ questo il valore di quasi 8.000 nuove opere di contrasto ad fenomeni franosi, alluvionali e di erosione costiera avanzata dagli Enti locali in attesa di valutazione e che vengono considerati come il “potenziale” di interventi per raggiungere un efficace livello di sicurezza in via preventiva.

Cause profonde e nuove variabili: analisi dei disastri ed elementi di criticità

Occorre chiedersi perché, nonostante i molti sforzi finora compiuti ed una conoscenza accurata dei “punti” di fragilità del territorio il Paese si trova sempre in una fase di emergenza. Eventi di grave entità come quelli registrati nel mese di maggio 2023 in Emilia-Romagna fanno capire che sul quadro complessivo intervengono molteplici variabili, alcune delle quali relativamente nuove, capaci di rimettere in discussione gli stessi modelli di prevenzione.

Un primo fattore è determinato dal cambiamento climatico. Lunghi periodi di siccità alternati a piogge violente, anche se concentrate in un arco temporale brevissimo, innescano fenomeni disastrosi. L’Ispra certifica che il 2022 ed il 2023 si sono contraddistinti per anomalia termica positiva e per i livelli di pioggia più scarsi dal 1961, accompagnati da fenomeni di precipitazione così detti “impulsivi” in grado di scatenare allagamenti e smottamenti, in presenza di terreno arido (se non reso artificialmente impermeabile) incapace di assorbire concentrazioni di acqua elevate. Le inondazioni registrate nel 2023 in Emilia-Romagna sono l’esempio più evidente degli effetti generati dai cambiamenti climatici. Anche in assenza di diffusi fenomeni di impermeabilizzazione del suolo, le precipitazioni sono state talmente violente da determinare comunque una sofferenza del territorio.

Si aggiunge un secondo elemento, ovvero il consumo e la conseguente impermeabilizzazione del suolo che il nostro Paese sta registrando. Nel 2022, secondo i dati Ispra, il consumo di suolo attraverso coperture, cementificazioni e impermeabilizzazioni di vario tipo si è attestato a ben 76,8 km2 in aumento rispetto al passato; al netto di terreni ripristinati (cioè riutilizzabili) il consumo si attesta a 70,8 km2, ma il fenomeno appare purtroppo in crescita. Per avere un’idea nel 2015 il consumo netto di suolo ammontava a 12,8 ettari al giorno, nel 2017 risulta pari a 15,5 ettari al giorno, nel 2021 siamo arrivati a 17,6 ettari al giorno e nel 2022 ci siamo attestati a 19,4 ettari al giorno, uno dei valori più elevati di sempre. I cambiamenti di destinazione d’uso e di impermeabilizzazione del territorio sono stati più intensi in alcune aree del Paese, a cominciare dalla Pianura Padana, soprattutto lungo l’asse Milano-Venezia e lungo la via Emilia. Gravi i fenomeni di trasformazione, con effetti di erosione, lungo l’asse adriatico, in ampie zone del Veneto, delle Marche e della Puglia meridionale. Infine risultano particolarmente colpite le aree urbane di Roma e Napoli.

Il terzo elemento critico è rappresentato dalle modalità di governance a livello centrale e locale con cui gli interventi di contrasto e di prevenzione vengono programmati e progettati. Studi differenti hanno più volte sottolineato lo squilibrio tra le diverse fasi che portano alla realizzazione delle opere di mitigazione e prevenzione del rischio idrogeologico, in particolare tempi di progettazione e passaggi autorizzativi troppo lunghi rispetto alla fase esecutiva. Si è evidenziato spesso inoltre come finora gran parte delle risorse disponibili debbano, gioco forza, essere utilizzate per far fronte alle emergenze lasciando poco spazio per l’attuazione di piani di prevenzione. Nel 2021 da una analisi attenta da parte della Corte dei Conti emergeva la ridotta capacità progettuale e di spesa delle regioni e dei Commissari straordinari a causa di carenza di strutture tecniche dedicate alla programmazione ed al monitoraggio di interventi in ambito idrogeologico, così come la presenza sia nelle regioni che presso gli Enti locali di progetti di scarsa valenza pratica perché basati su ipotesi di massima.


Progettazione e Manodopera: Le Criticità nell'Attuazione degli Interventi e la Necessità di Riconsiderare i Modelli di Intervento

In sostanza emerge ancora una volta, non tanto la carenza di risorse, quanto una mancanza di visione sugli interventi da porre in essere, soprattutto in chiave di prevenzione, la complessità di alcune procedure e la sostanziale carenza di personale tecnico che possa rapidamente rendere esecutivi dei piani di massima.

Il problema del dissesto idrogeologico e le modalità con cui affrontarlo, pertanto, non è tanto una questione di “quantità”, ma ormai di qualità della progettazione e degli interventi di prevenzione e mitigazione. Nonostante il Paese sia dotato di piani generali di intervento, a cominciare dal Piano ProteggItalia, che vede la proficua compartecipazione tra più Amministrazioni centrali, è evidente che occorra un’opera di “ricentraggio” delle modalità di pianificazione e degli interventi.